Comunità spirituale degli Orishà – energie della natura

II Ẹgbẹ́ Òrìṣà II Comunità spirituale degli Orishà – energie della natura

I valori spirituali

I valori spirituali

I valori spirituali del cliente e la responsabilità del sacerdote verso il cliente, gli altri sacerdoti e l’universo.
Essere dei re nella vita significa comportarsi da re, avere un approccio da re verso il mondo; questo atteggiamento da re è il rispetto di quello in cui crediamo nella vita. 

Noi sacerdoti siamo preziosi per i nostri clienti e per questo dobbiamo comportarci da re. Quando siamo consapevoli della corona che portiamo, il nostro comportamento e il nostro atteggiamento verso le altre persone saranno tali da rendere possibile anche a loro di percepire la corona che hanno sulla testa. La maturità spirituale ottenuta con le numerose consacrazioni tradizionali accanto allo studio pluriannuale della saggezza della vita attraverso gli odù Ifà e la saggezza degli singoli orishà, e assieme allo studio delle tecniche e del significato dello svolgimento dei rituali tradizionali sono per noi della Comunità spirituale degli Orishà – energie della natura la base per poter offrire un aiuto e un orientamento alle persone. È nostro desiderio che tutti voi che ci avete scelto come vostri consulenti sappiate che cosa aspettarvi da noi che vi siamo seduti di fronte e dagli orishà di cui la saggezza, l’energia, il potere e la capacità si rivelano attraverso l’orientamento spirituale e i rituali.

È nostro desiderio farvi conoscere la nostra fede, la nostra etica, il nostro modo di lavorare, poiché in Europa la nostra filosofia è alquanto sconosciuta. Per questo abbiamo preparato assieme al nostro padre spirituale Bàbá King – Síkírù Sàlámì, Ph.D. il presente testo per poter ottenere la vostra fiducia e che questa sia fondata.

LA REGOLA DI BASE È: “NON SI DEVE MENTIRE AL CONSULTANTE”

Ai sacerdoti è vietato dire delle cose che non hanno fondamenta nello studio Ifà svolto solo per creare dell’entusiasmo nella persona che pone delle domande o per creare false speranze o per ingannare. Col tempo la persona ovviamente scoprirebbe che il tutto era una sola grossa bugia e il sacerdote perderebbe la sua credibilità. Questa è per noi di un’estrema importanza, poiché è la base per costruire una relazione con le persone, per costruire il proprio nome e una carriera. Il nostro nome ci deve essere importante in ugual modo come le energie che portiamo nel nostro Orì.

La filosofia che seguiamo e di cui la saggezza è la base degli orientamenti spirituali, si avvicina alle persone tramite il nostro nome. E il modo in cui noi trasmettiamo la saggezza alle altre persone è una nostra responsabilità etica e spirituale.

È vietato inventarsi dei rituali non necessari e svolgere dei rituali che sarebbero una soluzione più comoda per il sacerdote (per esempio, si dovrebbe fare l’ebò, ma il sacerdote, non avendo il tempo per preparare tutto il materiale necessario, svolge un rituale a metà e utilizzando solo degli ingredienti strettamente necessari e risparmia sul resto).

Anche l’avidità è vietata ai sacerdoti. Bàbá King ha visto numerosi sacerdoti che hanno perso la loro fortuna perché erano avidi, perché guardavano solo al guadagno in denaro e non al benessere delle persone. La nostra filosofia è assolutamente contraria a questo tipo di comportamento. Siamo contro chiunque abusi della debolezza di qualcuno per ottenere un guadagno personale.

Noi sacerdoti non dobbiamo inventarci un numero esagerato di rituali per la singola persona allo scopo di sfruttare il suo stato finanziario. Non ha importanza da quale classe sociale proviene una persona. Quello che vale per uno, vale per gli altri, perché la nostra filosofia si basa sull’eguaglianza. Le donazioni spontanee, che non derivano dalla suggestione o dall’imposizione da parte del sacerdote, sono sicuramente benvenute. Ma non bisogna mai imporre alle persone qualcosa che non sarebbe bene per loro oppure che non lo farebbero volontariamente.

Noi sacerdoti abbiamo l’obbligo di portare la pace tra le persone, di fare in modo che sentano la pace dentro la loro mente sia tramite la nostra missione di sacerdote svolta allo scopo di eliminare la sofferenza emotiva delle persone sia stimolando il loro modo di pensare con i nostri discorsi, di farli vedere il mondo da un altro lato per poter sentirsi meglio. Abbiamo studiato Ifà e la saggezza degli orishà proprio allo scopo di imparare come aiutare le persone nel miglior modo possibile per vivere bene. Questo è contemporaneamente anche una grande responsabilità perché si influenza l’opinione delle persone, la loro visione e i loro valori della vita. Per questo, tutto quello che si insegna sulla vita deve basarsi sulla saggezza che abbiamo studiato e sul buon senso. L’interesse principale del sacerdote deve essere il benessere del cliente e non il vantaggio personale. Si svolge l’ebò perché il partecipante si senta bene nel rituale, non per avere una ricompensa da lui. Ovviamente il partecipante versa un contributo per l’ebò, perché ricompensa il lavoro e il sapere utilizzati, ma questo non deve essere il motivo. Il motivo deve essere la passione: “Voglio contribuire al benessere di qualcuno.”

Il sacerdote non deve pensare al denaro che riceverà neanche durante il borì. Quello che stimola il sacerdote deve essere la sua speranza che il cliente riesca ad aumentare la sua vitalità, la sua fortuna, la qualità della sua vita. Il sacerdote motivato da questa passione e da questa speranza è un buon sacerdote.

Chi è un buon sacerdote? È la persona che dà la precedenza alla sua responsabilità spirituale, che rispetta la vita del cliente, la sua libera volontà e il suo portafogli.

Comprendere le persone non significa rispetto, ma è il nostro lavoro fondamentale, siamo stati abilitati proprio a questo. Un buon sacerdote è una persona che mantiene per sé il segreto della vita delle persone che si sono confidate con lui. Questo è un nostro obbligo morale, spirituale ed etico, anche se la nostra vita dovesse essere minacciata. Già il nostro titolo di babalawo, babalorishà, iyanifa, iyalorishà significa il custode del segreto. E questa tutela della privacy fa parte del rispetto della persona che viene da noi. 

Nella nostra filosofia il sacerdote non giudica e non condanna, poiché la nostra fede si basa sulla libertà personale. Ognuno è libero di fare della propria vita quello che desidera ed è libero di portare le conseguenze delle sue eventuali azioni irresponsabili.

E per questo che bisogna mostrare comprensione, compassione e rispetto verso tutto e verso tutti quelli che ci capitano davanti. Non diciamo mai a nessuno che non ha ragione o che è stupido. Poiché ognuno è maestro della propria mente ed è nostra responsabilità comprenderlo e sapere orientare la persona in modo da superare le sue limitazioni e di portare le conseguenze delle sue azioni irresponsabili.

 

È VIETATO GIUDICARE LE PERSONE E LE SITUAZIONI

A volte le persone commettono degli errori semplici nella vita perché non sono in grado di fare le cose in modo diverso. Possiamo aiutarle solo se mostriamo che comprendiamo il loro concetto della vita. Ovviamente questo non vuol dire che condividiamo le cose che sono sbagliate. Ma facciamo capire che il loro modo forse non è dei migliori, possiamo dare un orientamento, ma non giudichiamo o condanniamo nessuno.

 

IL SACERDOTE È OBBLIGATO A RISPETTARE GLI ALTRI SACERDOTI E I CLIENTI DEGLI ALTRI SACERDOTI

Nella vita tutti avremo dei clienti temporanei, poiché non possiamo imporre la fedeltà a nessuno. A volte neanche noi non siamo sempre fedeli a se stessi, a volte siamo addirittura degli stranieri nella nostra stessa vita.

Dobbiamo prepararci a essere un sacerdote per l’intero universo, non solo per una persona. Chiunque ha il diritto di cercarsi un altro sacerdote in caso non si trovasse bene con noi. Se uno non si fida di noi, ha il diritto di cercarsi qualcuno di cui si fiderà. Perché per il cliente, il sacerdote deve essere la persona di cui poter fidarsi completamente – non a metà! 

È più importante che il cliente si fidi del sacerdote che l’opposto, in quanto la mancanza di fiducia da parte del cliente è più pericolosa per il sacerdote. Sarà il sacerdote colui che trasmetterà certe modifiche nella vita del cliente e questi deve essere consapevole dell’importanza della fiducia.

 

BISOGNA DIRE AI CLIENTI CHE LAVOREREMO CON LORO SOLO SE SI FIDANO DI NOI, DEL NOSTRO SAPERE E DELLA NOSTRA PROFESSIONALITÀ!

Se il cliente non si fida, è meglio che vada da un’altra parte! Proprio perché il nostro successo si basa sulla fiducia del cliente in noi, non dobbiamo offenderci se qualche cliente ci abbandona.

Dobbiamo renderci conto che anche noi potremmo deludere un cliente o che non gli siamo devoti abbastanza o che siamo stanchi durante un rituale.

 

NON SIAMO GLI ASSOLUTI PROPRIETARI DELLA VERITÀ IN QUESTO UNIVERSO!

La nostra missione, il nostro sapere e il potere che abbiamo non ci devono sedurre e renderci arroganti.

Nella filosofia degli orishà c’è una gerarchia:
♦ IL DIO SUPREMO – ELEDUNMARE, che ha creato il tutto, il sapere e l’ashè
♦ GLI ORISHÀ
♦ GLI ESSERI UMANI
♦ I SACERDOTI

Non dobbiamo mai dimenticare che noi sacerdoti siamo l’ultimo livello della gerarchia! Siamo contemporaneamente i più e i meno importanti.
Il dio supremo Eledunmare è presente in ognuno e in ogni cosa, gli orishà sono l’origine della sopravvivenza, noi sacerdoti invece abbiamo bisogno del riconoscimento sociale. Se gli esseri umani non ci accettano e non ci riconoscono come sacerdoti, non siamo nessuno. 

 

IL SACERDOTE NON È UN SACERDOTE DI SE STESSO, MA DELL’UNIVERSO! PERTANTO NON C’È UN MAESTRO SENZA UN MAESTRO

Noi siamo il maestro che provvede agli altri. Il nostro maestro deve provvedere a noi!

La nostra origine sta nella tradizione orale dove i sacerdoti studiano per 16 anni o più per ottenere un sapere che si mantiene in modo perfetto nella loro memoria. E allora è con gioia, orgoglio e devozione che stiamo frequentando continuamente i nostri maestri africani, poiché Ifà è la saggezza della vita e nessuno la conosce completamente. Il nostro imparare è senza fine.

Il sacerdote è una persona sul trono. Il nostro carattere ci mantiene su questo trono oppure ci fa cadere da questo. Siamo noi a decidere ed è una nostra responsabilità se vogliamo restare sul trono o no. Dipende tutto dall’atteggiamento. Nella nostra filosofia non siamo moralisti, ma siamo responsabili e ci è molto importante di come possiamo essere utili alle persone.

L’essenza degli orishà è l’umanità. Solo se piove, la natura diventerà verde, il livello dell’acqua si innalzerà e tutto ciò per il bene dell’umanità. Lo scopo del suolo è di produrre cibo, l’aria è qui per essere respirata, per arricchire il nostro sangue con l’ossigeno. Lo scopo della natura è di servire l’uomo. Il nostro obbligo è di utilizzare quello che ci offre e di avvicinarlo alle persone.

Non dobbiamo essere arroganti, superiori o altezzosi e sentirci più importanti degli orishà.

Quando una persona viene da noi, ovviamente non vede gli orishà, ma vede il sacerdote ed è il sacerdote che le deve dare l’opportunità di vedere gli orishà. Non siamo il salvatore di nessuno, gli orishà sono il salvatore, per questo dobbiamo far sapere alle persone che c’è qualcosa al di sopra di noi che è più grande e più possente della nostra personalità. Noi possiamo essere colui che è temporaneamente presente nella vita di qualcuno, gli orishà invece sono permanenti, perché gli orishà sono la vita.       

 

AL SACERDOTE È VIETATO ESSERE ARROGANTE
IL SACERDOTE DEVE ESSERE UMILE, SPIRITUALMENTE UMILE

Essere umili non significa essere semplici nella vita, ma significa essere consapevoli di non essere il centro dell’universo. La nostra missione è di rendere la vita dolce e felice alle persone.

È importante non sopravvalutarsi. Il nostro valore è equivalente al valore che ci viene dato dalle persone.

Dobbiamo comprendere che bisogna essere consapevoli del proprio valore, ma questa consapevolezza è inutile, se nessuno poi lo riconosce. Non possiamo imporre a nessuno la nostra importanza o il nostro valore. Le persone lo devono percepire da sole. Alcuni sacerdoti non possiedono la capacità e la saggezza di essere utili a se stessi come sacerdoti, perché sono troppo presuntuosi. Il sacerdote deve essere qualcuno che è accessibile, aperto alla vita.

E possiamo essere aperti alla vita solo se non siamo arroganti, se consideriamo la possibilità che esiste qualcuno che è migliore di noi, che anche gli altri possono essere utili.

QUESTO È IL PRINCIPIO UNIVERSALE DEGLI ORISHÀ.

Posso essere molto forte e potente, ma ci sarà sempre qualcuno più forte e più potente di me. E tutto quello che di meraviglioso ho creato nella mia vita, è stato già fatto da qualcun altro prima di me e qualcuno lo farà anche dopo di me.

Nella filosofia e nella tradizione degli orishà capita che durante l’orientamento spirituale viene rivelato che una certa persona deve iniziarsi. L’iniziazione è qualcosa di molto serio e bisogna spiegarlo bene al cliente. Bàbá King conosce dei casi in cui sono state prescritte ai clienti delle opzioni più vantaggiose, anche evitando l’iniziazione sostituendola magari con altri rituali. Ma se la divinazione rivela una certa cosa, non si dice al cliente di fare altro. Negli orishà al rosso si dice rosso e non bianco. Se la divinazione raccomanda una cosa, non diciamo che sono due o tre. Un’iniziazione non può essere sostituita da un borì.

L’orientamento spirituale e tutte le indicazioni devono arrivare dalle divinità, noi non dobbiamo inventarci niente.

Ci sono dei rituali che si possono ripetere nella stessa giornata, ma sono delle eccezioni e sicuramente non si tratta mai di fare sette ebò in una giornata. La prassi comune è di fare un ebò al giorno e al massimo due abluzioni nella stessa giornata. Ifà può dire al cliente di fare tre borì all’anno, ma questo non significa fare tre borì nella stessa giornata! Non si fa mai più di un borì al giorno.

Il sacerdote è proprietario della propria mente, ma questa deve restare intatta, non deve diventare negativa. Se il sacerdote mantiene intatto il suo buon senso, se non altera la verità, allora lavora bene!

Anche se un sacerdote non possiede una conoscenza tecnica completa, va comunque tutto bene finché rispetta la verità e il buon senso. In Ifà c’è l’odù ÒFÚN ÒṣÉ che dice che se un sacerdote è bugiardo, anche se perfetto dal punto di vista tecnico, sarà distrutto e che al suo posto arriverà un sacerdote ingenuo, senza la conoscenza tecnica, ma onesto.

 

NELLA NOSTRA FILOSOFIA NON C’E’ SPAZIO PER GLI OPPORTUNISTI

Dobbiamo sì sopravvivere con il nostro lavoro, ma è vietato sfruttare la debolezza spirituale o la malattia di qualcuno. In caso contrario, il problema di questa persona si trasmetterà a noi, nella nostra vita. Questo tipo di rischio non è necessario e per questo è vietato. Lo studio che abbiamo svolto era interamente destinato a renderci capaci di riflettere in un modo diverso, più saggio, per poter svolgere le divinazioni, i rituali ecc. Tutto è già stato scoperto!

Nell’ebò Ifà, quello che si svolge davanti all’opon Ifà, una parte del rituale è di gruppo, dunque per tutti i partecipanti, ma non è un rituale collettivo, poiché la recitazione dell’odù che orienta la vita di una determinata persona è individuale, diverso per ogni persona. L’energia individuale necessaria per risolvere il problema di una persona, deve essere destinata solo a questa persona. Per questo ognuno riceve la sua invocazione personale, che non è una uguale per tutti, anche se ci sono più persone presenti del gruppo. Ogni persona riceve l’attenzione rivolta solo a lei, ognuno riceve il suo recipiente, ognuno il suo ebò. Le diverse persone sono solamente sedute tutte insieme davanti all’opon Ifà. E questo è l’unico modo di svolgere l’ebò di gruppo.

Nel caso invece dell’ebò orishà il rituale è più individuale, ogni persona è da sola con il sacerdote che dirige il rituale (o con un gruppo di sacerdoti in caso non si lavora da soli). Per quel che riguarda lo svolgimento, Bàbá King ha sempre il timore delle interpretazioni sbagliate per agevolare il lavoro al sacerdote.

È consigliabile che il sacerdote svolga la purificazione rituale e che faccia egli stesso anche le abluzioni rituali alla persona che partecipa al rituale ovviamente se questa lo accetta. Per le abluzioni non si insiste in caso la persona non desideri che le faccia il sacerdote o che venga toccata da qualcun altro o se si vergogna. Ma non si nega mai questa parte del rituale perché magari non abbiamo voglia di farlo. In ogni caso, le parti intime ognuno se le lava da solo.

Non si deve mai vedere la persona che partecipa al rituale come un oggetto di desiderio sessuale. Questo è un avvertimento, poiché in caso contrario tutte le difficoltà del partecipante si trasferiscono al sacerdote che svolge il rituale. Il partecipante al rituale va sempre visto come un essere umano che ha bisogno della nostra conoscenza, della saggezza e del nostro aiuto per avere una vita migliore. E così che anche la nostra vita sarà migliore.

In determinate circostanze il partecipante al rituale tocca da solo il proprio corpo con gli ingredienti dell’ebò, ma non perchè il sacerdote non ha voglia di farlo o perché declina la sua responsabilità o perché ha paura di contagiarsi con i problemi, ma perché queste sono state le istruzioni specifiche ricevute da Ifà. A volte succede che il partecipante deve invocare da solo alcune benedizioni per se stesso durante il rituale. Oppure Ifà a volte dice che la cosa migliore per questa persona è che svolga da sola una parte del rituale, di solito di toccarsi il corpo con uno degli ingredienti dell’ebò. Questo succede nei casi quando lo scopo dell’ebò è quello di indurre la persona a indirizzare da sola una determinata energia in una determinata direzione.  

Ma siamo noi sacerdoti che svolgiamo l’ebò, pertanto siamo noi quelli che tocchiamo il corpo vestito del partecipante con gli ingredienti dell’ebò. L’ebò è una purificazione spirituale, è una piccola rinascita e i neonati non possono fare nulla da soli. A volte succede che veramente proprio a causa dell’influenza di qualche energia non riescono a fare nulla.

Solo l’indicazione dell’orientamento spirituale può in via eccezionale modificare la procedura standard, non la nostra pigrizia.

L’ebò orishà come purificazione spirituale è completo solo se c’è anche l’offerta a una o più orishà, in quanto l’ebò prima purifica e l’offerta dopo dirige il destino. L’energia è così sincronizzata, ogni cosa ha una sua funzione.

Dobbiamo essere generosi nell’azione durante i rituali, deve esserci la passione e questa porta alla perfezione.

Più generosi saremo nell’azione, più ashè possederemo. Qui non si esagera mai, più si dona, più si riceve. Nessuno mai si è lamentato di avere troppa benedizione.

Possiamo negoziare con gli orishà solo se non ci sono altre possibilità, non perché vogliamo risparmiare tempo o denaro. Gli orishà hanno tutto e comprendono tutto.

Durante l’orientamento spirituale si manifestano tanti orishà attraverso gli odù, ma per quale orisha decideremo di svolgere l’ebò dipenderà dalla natura del problema oppure dal problema prevalente nella vita del consultante (salute, denaro, amore). 

 

ALCUNE REGOLE GENERALI:

Se si tratta di un problema naturale, ci sono due rituali complementari accanto all’ebò: il borì, per la rivitalizzazione dell’essenza, e l’offerta agli antenati.

Sequenza:
• EBÒ
• BORÌ
• OFFERTA AGLI ANTENATI

Si fa un’offerta a Egungun in generale, nel senso degli antenati, e dopo si completa con i singoli antenati delle 7 generazioni.

Se si tratta di un’anima persa, si fa prima il rituale per questa, e dopo per un antenato vivente.

SEMPRE si invoca la benedizione degli antenati del mondo spirituale, del mondo degli antenati, del cosmo. Prima per loro e dopo per i viventi. Si prende sempre in considerazione colui che il partecipante all’orientamento o al rituale considera un suo genitore. Se in famiglia è avvenuto un suicidio meno di 7 anni fa, è più facile risolvere le varie questioni.  

 

Periodi del giorno
• mattino: le energie sono pure al massimo, per questo il mattino è il periodo più adatto per un ebò che orienta quelle persone che si sentono perse, senza un orientamento, con una mente disturbata;
• mezzanotte: periodo adatto ad un ebò per la salute fisica e biologica;
• pomeriggio e la sera: periodo adatto per tutto in generale;
• ebò durante il plenilunio: per i problemi ciclici, per la depressione, per le persone perse.

Il sacerdote deve essere a digiuno o almeno che non mangi niente di salato prima dei rituali.
Esiste anche un periodo del giorno per fare l’ebò indicato dalla divinazione, che va assolutamente rispettato, altrimenti è meglio non chiedere questo tipo di informazioni a Ifà.

 

TIPI DI PROBLEMI:
• problemi naturali: Orì;
• problemi non naturali: influenze esterne da parte di altre persone, il pettegolezzo, la magia ecc.;
• problemi simulati: paura, mancanza di sicurezza, di esperienza, di sostegno che possono causare la depressione o l’assenza di azione, di gioia e di felicità, oppure una sensazione permanente di pericolo di morte.

In caso di depressione o di impulsività nel parlare o di discorsi emotivamente troppo carichi è urgente fare il rituale borì. 

Nei rituali bisogna prendere in considerazione anche l’età del partecipante e valutare se questa è adeguata per un certo intervento. Bisogna verificare il suo grado di fiducia.

 

L’ambiente
Se i genitori, il partner, i collaboratori, che sono un problema per il partecipante, non desiderano partecipare al rituale, allora durante l’ebò si chiede anche per loro e con il partecipante si discute dell’influenza che queste persone hanno su di lui.
Se una persona ha dei problemi fisici, è molto importante anche lo spazio dove questa vive. In questo caso si chiede a Ifà se è il caso di fare la purificazione della sua casa.

Noi, per diventare sacerdoti, abbiamo fatto la parte più difficile, abbiamo messo tanto impegno nelle iniziazioni e nello studio, ora arriva la parte più facile ossia lavorare, ma bisogna avere la passione per tutto ciò. Abbiamo la benedizione, poiché la nostra filosofia è piena di allegria e i rituali sono pieni di azione, di canzoni, di ritmo. Non ci si annoia!

Tutto è dinamico, viviamo in allegria e ci godiamo il cibo, e tutto ciò è contagioso. Ma dobbiamo essere consapevoli del significato della parola sacerdote. 

Il sacerdote è la devozione della vita alla felicità dell’umanità.

E possiamo ottenere ciò solo se si fanno le cose così come devono essere fatte. Se Ifà ci dice di fare le cose in un modo, dobbiamo farle esattamente così. Dobbiamo ubbidire a Ifà. Questo è uno dei fondamenti che costruiscono un sacerdote. Se noi non ubbidiamo alle indicazioni dell’orientamento spirituale, chi lo farà?
Solo seguendo le istruzioni faremo sempre la cosa giusta.

 

IL SACERDOTE NON DEVE RIFIUTARE AL CLIENTE UN ORIENTAMENTO.

Ma questo vale al 100% solo in teoria. Abbiamo già detto che la fiducia è la condizione per la collaborazione.

Se una persona non si fida di noi, non possiamo offrirle niente, e chiederemo perdono agli orishà per se stessi e accetteremo le conseguenze. Siccome anche noi sacerdoti siamo per fortuna solo degli esseri umani, possiamo anche sbagliare.

La fiducia è qualcosa che non si deve tradire. Possiamo fallire nella vita come persona, ma non possiamo fallire come sacerdote, come orientatore della vita degli altri. Come sacerdote dobbiamo perseguire l’obiettivo di non fallire. Ma Ifà ci dice che non dobbiamo negare l’aiuto a nessuno. Ma questi è lo stesso Ifà che dice che tutto si basa sulla fiducia. Ma non è necessario che noi ci fidiamo del consultante, perché lui non è pericoloso per noi. Ma noi sacerdoti invece possiamo essere pericolosi per il cliente se commettiamo degli errori, se distruggiamo la sua vita, in quanto lui prenderà delle decisioni per la vita basandosi sull’orientamento ricevuto da noi.

Il buon senso e il non rifiutare un favore ad un cliente significa indirizzare il nostro migliore amico ad un nostro collega per evitare qualsiasi sospetto che le indicazioni ricevute da Ifà non siano state in qualche modo alterate dalla nostra conoscenza personale della vita del cliente. Le persone non si rendono conto che quello che sappiamo personalmente di una persona non basta per un orientamento spirituale. Il sacerdote deve avere la maturità mentale e spirituale per evitare questo tipo di situazioni.

Quello che veramente non esiste è il superman, qualcuno che riesce a fare tutto, che è capace di fare tutto. In teoria magari è possibile, ma nella pratica siamo limitati dalla nostra memoria, dalle circostanze, dalle opportunità, da numerose cose invisibili e altre cose che nella nostra filosofia sono limitate ad un solo genere (maschile o femminile).

Per questo bisogna rendersi conto delle proprie limitazioni. E questo è possibile solo se siamo umili, se non siamo arroganti. Nessuno è perfetto, solo gli orishà lo sono.